Mf su istituzion de Regjon Friûl, 4.4.1985
Marco De Agostini
Signor Presidente, egregi colleghi! La nostra pazienza e costanza di Consiglieri regionali vengono oggi finalmente premiate: sette anni di perseveranza nell’arco di tre legislature valevano bene una giornata di dibattito – Morelli – visto che la proposta su cui oggi stiamo discutendo è stata presentata, per la prima volta, ancora nel marzo del 1977.
Il collega Pascolat prima d’iniziare i lavori mi aveva un po’ aggredito dicendo: “io mi chiedo perché oggi ti vien data quest’opportunità, ti viene concessa quest’opportunità”. Io preferisco, al di là di quelle che possono essere valutazioni di ordine politico, credere che questo avvenga grazie all’attuale Presidente del Consiglio, che si è comportato nei nostri confronti più seriamente, correttamente di quanto non abbiano fatto i suoi predecessori, nel senso che ha inteso tutelare noi, gruppo di minoranza, in quelle che sono le nostre iniziative, così come vengono tutelate le iniziative dei gruppi di maggioranza.
Noi possiamo anche prevedere, dare per scontato come andrà a finire questo dibattito, ma il fatto di essere riusciti, con la disponibilità del Presidente del Consiglio (che ancora ringrazio) a discutere della nostra proposta, per noi è già di per sé un fatto ed un risultato importante. Primo, perché discutendo in sede istituzionale regionale una proposta di legge che mira a dividere la Regione, infrangiamo un “tabù” e, come ebbe a chiamarlo qualcuno, mettiamo in discussione il dogma dell’unità regionale (ed era un qualcuno non di secondaria importanza). Secondo, perché tutte le forze politiche qui presenti dovranno finalmente – questo è in sostanza anche il discorso che faceva Biasutti prima – dichiarare le proprie posizioni ufficiali, senza nascondersi nelle Commissioni o senza far fare affermazioni di principio a livello di segretari politici, salvo poi mandare in libera uscita rappresentanti dello stesso partito nelle varie terre friulane a dire: “sì, questa è la posizione del partito a livello regionale, però io e tanti altri saremmo d’accordo per la Regione Friuli”.
Una volta tanto, nell’illustrare questa proposta, non sarò breve come è mio solito, però cercherò di non occupare un tempo superiore a quello accettabile, perché mi prestiate attenzione e per lasciare ampio spazio al dibattito.
A supporto della nostra proposta di legge intendo portare tre tipi di argomentazioni. Innanzitutto argomentazioni storiche, nel senso che va ricordato anche qui dentro come i triestini e i friulani si prefigurassero il loro “status” regionale quarant’anni fa e quello che i politici triestini e friulani volevano costruire allora e poi, non si sa perché, tutto non è andato come allora si voleva, anzi, è andato in senso diverso, assai diverso.
Argomentazioni storiche, quindi, che non posso fare a meno di richiamare, perché dubito che la maggioranza dei colleghi Consiglieri qui presenti conosca questi fatti così come sono realmente accaduti. Poi trarrò delle motivazioni ideologico-culturali, che fanno parte del patrimonio del Movimento Friuli. Quella sarà la nostra linea: vi scandalizzerà, ma è così. Ed infine, motivazioni oggettive, verificabili da tutti, che attengono alla realtà di ogni giorno.
Per arrivare ai fatti storici, il 18 dicembre 1946 la II Sottocommissione della Costituente approva la proposta di costituzione della Regione Friulana, con 17 “sì” e 10 “no”.
Nel resoconto sommario si legge: “La Sottocommissione approva la costituzione della Regione Friulana comprendente il territorio del Friuli più le terre della Venezia Giulia che a norma del prossimo trattato di pace dovranno restare allo Stato italiano
Solo dopo il ritorno di Trieste all’Italia (5 ottobre 1954) si cominciò a parlare di un inserimento della città nella Regione, ma sempre con uno “status” proprio. Nettamente contrario il senatore Tessitori (e questo lo rilevo da “Il Gazzettino” del 7.11.1954; e sempre da “Il Gazzettino” del 16.2. 1955 e da il periodico “Trieste” di gennaio-febbraio del 1955): per lui bisognava costituire la Regione con il solo Friuli. Anche la DC di Udine riteneva (vedasi il “Nuovo Friuli” del 15 aprile 1955) che la Regione dovesse venire costituita con Udine e Gorizia, non essendo ancora stata istituita la provincia di Pordenone.
Pur sostenendo un’unica Regione con Trieste, l’avvocato Cecovini del Partito repubblicano italiano (allora presidente della Commissione di studio per l’Ente Regione, nominata dal quadri-partito) sosteneva che le diversità fra le varie province erano compensabili con un largo decentramento sul tipo Trentino-Alto Adige (leggasi “Messaggero Veneto” del 4 marzo 1955).
La proposta di due Sottoregioni o di uno “status” speciale per Trieste fu combattuta dall’udinese avvocato Candolini (“Messaggero Veneto” 7 febbraio 1957) e appoggiata invece dal “Lavoratore” di Trieste (8 febbraio 1957) e da “L’Unità”: “Importante è – si diceva – che ciascuno di questi due territori (Friuli e Trieste) abbia ampia autonomia nell’ambito della Regione, in base alle particolari condizioni ambientali, che sono ben diverse nell’una e nell’altra parte, con proprie assemblee territoriali, con propri capi-luoghi, con proprie facoltà legislative ed amministrative” (“Messaggero Veneto” 12 febbraio 1957).
La tesi non fu solo delle sinistre. Il Presidente della Provincia di Trieste, Gregoretti, chiedeva che alle province, “o perlomeno a quella di Trieste, venissero concesse autonomie legislative di un certo rilievo nell’ambito stesso della Regione”, e si richiamava al collaudato esempio del Trentino-Alto Adige. Lo stesso, per un esponente del Partito socialista democratico italiano, professor Lonza: “Trieste deve avere un’autonomia nell’autonomia” – diceva -.
Il sindaco della città ing. Bartoli, pur riservando a Trieste il titolo di capoluogo, suggeriva la convocazione del Consiglio regionale in questa o in quella città (“Messaggero Veneto”, 28.2. e 1.3.1957). Il consiglio provinciale giuliano chièdeva ‘Il massimo decentramento” alle Province “ed in particolare a quella di Trieste”, a cui “dovrà essere concessa anche un’adeguata autonomia legislativa” (“Messaggero Veneto”, 2.3.1957).
E mentre la DC Friulana presentava uno schema di statuto che prevedeva capoluogo Udine (“Gazzettino”, 3 1.3. 1957), l’on. Barbina chiedeva “che le due entità del Friuli e della Venezia Giulia restassero distinte pur nella stessa Regione” (…).
Il PCI (circolare 15.12.1957, a firma di Giancarlo Pajetta), nell’illustrare il progetto comunista, sosteneva la necessità di concedere “alla città e al territorio di Trieste una ulteriore autonomia nel quadro di quella dell’intera Regione”.
Tessitori ribadiva le riserve “circa la opportunità di incorporare Trieste nel sistema elettorale regionale di Udine e Gorizia (“Messaggero Veneto”, 12.3.1958). Una nuova proposta di legge comunista prevedeva la creazione di una zona franca nell’intero territorio di Trieste, il quale avrebbe dovuto godere di una particolare autonomia legislativa (10.7.1958). Lo stesso faceva il PSI (10.7.1958), prevedendo la zona franca e un Consiglio autonomo per Trieste.
Il futuro sindaco dott. Franzil sosteneva la necessità di autonomie provinciali o quanto meno di un’autonomia per Trieste; il futuro Presidente della Provincia dott. Savona si richiamava ai noti precedenti di Trento e Bolzano (2.8.1958). Tali precedenti venivano richiamati anche dall’on. Barbina, insieme con quello del piccolo Molise, divenuto Regione a sé staccandosi dall’Abruzzo (19.10.1958).
E Tessitori ribadiva la netta propensione per uno “status” giuridico a sé per Trieste: quanto meno, specificava, “non ho difficoltà a dichiarare di non avere pregiudiziali contro l’istanza triestina di un’autonomia entro l’autonomia regionale” (….).
Altra voce udinese a pro di Trieste a sé: quella del segretario del M.F.E. dott. Comessatti: “Ben venga Trieste nell’orbita della Regione Friuli-Venezia Giulia, ma con uno statuto particolare, con un bilancio proprio garantito dallo Stato, con un’autonomia nell’autonomia. Date a Trieste quel che è di Trieste e a Udine quel che a Udine appartiene” (“Messaggero Veneto”, 3.1. 1959). Lo storico prof. Schriffer appoggiava pure un ‘autonomia della sua città nella regione, o – altra soluzione – due regioni distinte (“Trieste”, genn./febbr. 1959). La Comunità Carnica, presieduta dall’on. Gortani, votava un o.d.g.: “Per la città di Trieste si deve attuare uno stato giuridico particolare (“Messaggero Veneto 25.1.1959). Il Bartoli tornava a chiedere autonomie provinciali con bilanci distinti, e l’alternanza di Trieste e Udine come sedi del Consiglio regionale (“Messaggero Veneto”, 3.2.1959).
Nuova proposta di statuto dei deputati triestini della D.C.: “la più larga autonomia provinciale possibile anche nel campo legislativo” (24.6.1959). Del pari i socialisti friulani riconoscevano per Trieste “la necessità di una particolare autonomia” (on. Solari, estate 1959).
Tessitori aderiva alla proposta dei deputati triestini DC di un’autonomia provinciale, “purché limitata al territorio dell’attuale provincia di Trieste”. E aggiungeva: “I problemi della città e del territorio di Trieste hanno natura politica ed economica del tutto indifferente da quelli delle due province friulane di Gorizia e di Udine. Vedrei pertanto logico e naturale che essi fossero di competenza di un organo locale, di natura sua più preparato e più sensibile alla particolare situazione di fatto della grande città adriatica” (autunno 1959).
A un assetto di Trieste distinto da quello friulano erano favorevoli tutti i partiti triestini, escluse le destre. Ma Tessitori rimaneva fermo nella convinzione di non ritenere ancora possibile la creazione della Regione con Trieste (dicembre 1959). Negativa invece la posizione che veniva a manifestarsi nella DC friulana circa l’autonomia alle province (on. Biasutti, 19. 12.1959). I socialisti ribadivano da Udine che lo statuto rispettasse le differenze fra Trieste e il Friuli, e che s’instaurasse la zona franca nella città adriatica (17.1.1960).
Tale la posizione del partito, del resto, in sede nazionale, che illustrava il proprio progetto di statuto con uno status particolare per Trieste, uno speciale Consiglio del suo territorio”, con speciali attribuzioni e con la zona franca. “In ogni caso si salvaguardi il diritto, anche storico, di Trieste ad ordinamenti e strumenti anche economici di autogoverno” (on. Gatto, 20.3. 1960).
“Un’appropriata autonomia provinciale” richiedeva l’on. Sciolis (12.2.1960). Il prof. de Castro, già rappresentante del Governo italiano nell’A.M.G., appoggiava “un’autonomia provinciale molto ampia nell’ambito regionale (sul tipo di quella esistente nel Trentino-Alto Adige)”, e suggeriva la divisione degli assessorati fra Udine e Trieste (20.2.1962, “Stampa”). Ribadiva il PSI giuliano la necessità di un’autonomia legislativa nell’ex Territorio libero (“Messaggero Veneto”, 22.3.1962). Lo Schriffer tornava alla tesi di “una Regione ed autonomia dualistica. Friuli e Venezia Giulia dovrebbero essere due unità autonome amministrativamente ognuna con propria Giunta e proprio presidente. Con elezioni di secondo grado si dovrebbe provvedere a creare una delegazione regionale con un presidente e gli assessori che richiedono gli affari comuni alle due zone”. E ribadiva “le caratteristiche e le diverse esigenze sia del Friuli sia della Venezia Giulia” (“Gazzettino”, 22.4. 1962). Anche il senatore friulano Fantoni chiedeva per Trieste “una particolare autonomia nell’ambito della Regione” (estate 1962).
La soluzione unitaria per la Regione ebbe l’appoggio determinante del segretario provinciale della D.C. di Udine avv. Bressani, che respingeva lo “status” speciale per Trieste e le stesse autonomie provinciali, anche se chiedeva per Udine la sede degli assessorati (“Nuovo Friuli”, 20.5.1962). Tessitori operò un estremo tentativo contro una soluzione improvvisamente accettata (per motivi che ci sfuggono) dagli stessi triestini.
Trieste “aveva bisogno”, disse in Senato Tessitori “nel quadro della Regione, di una sua particolare posizione giuridica, che consentisse I elasticità, l’agilità, la libertà di movimento che la città ha sempre saputo usare nelle lunghe e qualche volta tragiche vicende della sua storia”. Tale era il progetto del PCI e quello del PSI: così pure il progetto della DC triestina. “Se da varie fonti”, affermava, “politicamente distinte, diverse, antitetiche, ci viene indicata una strada, perché non esaminarla? Perché non cercarvi la soluzione?”. E più avanti: “A me consta che, pochi mesi fa, il Mercato Comune Europeo avrebbe fatto condizioni di particolare favore ad Amburgo in considerazione dell’autonomia che quel porto e quella città godono. Ed allora pensavo e penso che il dare a Trieste una sistemazione giuridica di larga autonomia poteva costituire uno strumento valido per ottenere che il MEC non trascurasse anche il grande emporio dell’”Adriatico”.
Ma la maggioranza aveva ormai scelto la soluzione unitaria, e Tessitori ritirò rassegnato gli emendamenti, astenendosi nella votazione (12 e 16.10.1962). Nella stessa occasione anche il Solari inutilmente sosteneva le tesi di “dare a Trieste e al suo territorio condizioni particolari di autonomie anche nell’ambito della Regione” (12.10.1962).
Nasceva così, al posto del centralismo romano, il centralismo triestino. Per sostenere i diritti di Trieste a essere capoluogo di una Regione fatta per 4/5 dal Friuli, si è umiliata la maggioranza. Lo è stata e lo sarà ancora; comunque non è detto che sarà sempre così.
Ma si è ancora in tempo per rimediare ad una unione da nessuno voluta e da tutti osteggiata, salvo determinati vertici favorevoli a una politica rivelatasi fallace e fonte di continui conflitti.
Basta tornare a quanto sostenuto dai più avveduti intelletti di Trieste e del Friuli prima che la infelice soluzione unitaria venisse imposta contro ogni logica; e contro ogni volontà ed oltretutto in maniera tutt’altro che democratica perché le popolazioni che erano le dirette interessate non furono sentite in nessun modo.
Ora vengo alle motivazioni ideologiche che sono proprie del Movimento Friuli, per cui noi rivendichiamo una Regione tutta friulana.
“La primavera dei popoli” non è una stagione trascorsa, che non torna più. Ci sono popoli che si affacciano in ritardo alla storia, e prendono coscienza di essere nazione.
Per i friulani, la primavera è appena incominciata. Le nazioni che sono riuscite ad affermare per prime la loro-identità, e a costituire un loro stato, tendono a dimenticare il principio di reciprocità, e tendono a negare non solo il diritto all’autodeterminazione delle nazioni dalla coscienza ancora assopita, ma perfino la loro esistenza in quanto tali.
Tendono ad identificarsi con lo Stato in cui esse sono nazioni dominanti e maggioritarie, e considerano assimilato alle loro caratteristiche nazionali tutto ciò che lo Stato comprende.
Dentro i confini dello Stato, ogni forma di sovranità è riservata alla nazione dominante, in quanto “non esistono” altre nazioni distinte. L’esempio più emblematico in Europa è quello della Francia, subito seguito dall’Italia. La cultura e la pratica statocentrica in questi due casi sono davvero notevoli, e sono i migliori esempi di come non dovrebbe essere costruita domani una Europa unita.
E non vale affermare che in Italia c’è l’autonomia regionale: primo, perché l’autonomia regionale non è costruita né secondo il principio del rispetto delle nazionalità diverse da quella italiana, né secondo quello delle autentiche regionalità interne alla nazione italiana stessa; secondo, perché le concessioni di autonomia o sono praticamente decentramento amministrativo dello Stato (che si riserva la maggior parte dei poteri), o sono conquiste del “ricatto” separatista, come nella Valle d’Aosta e in Alto Adige.
I mezzi della disinformazione di massa, e della formazione delle “false coscienze” che il nazionalismo delle nazioni dominanti usa a piene mani, sono oggi più potenti della coercizione attraverso le istituzioni repressive che utilizzava lo Stato nel passato.
Così, anche se per i popoli non ancora riconosciuti come il nostro, arriva la stagione della propria primavera, si troveranno a dover superare ostacoli notevoli per prendere piena coscienza dei propri diritti e della propria identità.
Basterà esaltare con ogni mezzo disponibile l’autonomia e le qualità della Regione Friuli-Venezia Giulia, la sua unità come bene supremo, presentare come il “non plus ultra” del narcisismo culturale l’essere italiani e solo italiani nella lingua, insinuando subdolamente che il friulano è e deve essere “lingua minore”, per fare, della maggior parte dei membri di un popolo, devoti cittadini.
Però, quasi 95 mila di questi cittadini (ma ce ne sono molti, molti di più, credetemi!) hanno detto di no ad uno di questi generosi beni italici, l’unità della Regione Friuli-Venezia Giulia, ed hanno proclamato (facendo sentire la loro voce, con una firma naturalmente) il diritto ad avere un’istituzione di autonomia per il Friuli: la Regione Friuli.
Almeno in via teorica noi dobbiamo riconoscere ad ogni popolo dalle caratteristiche nazionali, il diritto all’autodeterminazione; ad ogni frammento di nazionalità “separata” dai confini di Stato dal corpo della stessa nazione, il diritto di riunirsi. Altrimenti, con che basi andremmo a costituire – dico io – una Europa unita? Non penseremo mica di costituirla usando come unità primitive di base falsi stati-nazione coi loro discutibili confini attuali? Come non pensare ad una riproduzione delle egemonie delle nazioni dominanti su quelle minori su più vasta scala, con altrettante violazioni dei diritti nazionali di tutte le nazioni, grandi o piccole, se dovessimo formare l’Europa mettendo semplicemente gli uni vicino agli altri gli stati attuali, intolleranti nei confronti delle loro nazionalità interne?
La storia degli ultimi due secoli ha posto in evidenza il diritto all’autodeterminazione di ogni nazione. Ogni nazione quindi ha diritto ad essere sovrana sul suo territorio. Ma ha anche evidenziato che questo diritto è duramente contrastato dalla logica statocentrica, ed il sistema degli stati oggi è tale da non essere in grado di tollerare ritocchi ai confini, almeno in Europa, se non col rischio di un conflitto generalizzato.
Alcuni stati, pur salvando l’assioma della loro unità, hanno accettato ad un livello più basso il principio del diritto delle nazionalità, e si sono costituiti in federazione. La Svizzera è una federazione, e le nazionalità che la costituiscono, compresa quella ladina, godono i notevoli poteri di sovranità sui territori del loro insediamento, e sono riconosciute in quanto tali.
Anche la Jugoslavia è una federazione. Le Repubbliche federate affidano, nel momento in cui si uniscono in uno stato che le comprende, alcuni dei loro poteri sovrani allo stato sopranazionale.
Alcuni Stati, ad un livello ancora più basso, vengono incontro alle esigenze di autodeterminazione e sovranità territoriale delle loro nazioni diverse mediante il sistema delle autonomie.
In questo caso è lo Stato che concede alcuni poteri alle istituzioni autonome; non sono le nazioni che, accettando di far parte di una unità statuale più vasta del loro territorio, affidano allo Stato, privandosene, alcuni dei loro poteri di sovranità.
Ebbene, noi non possiamo pensare ad una nazione friulana, senza pensare alla sua sovranità nazionale, e al suo diritto all’autodeterminazione.
Ma non possiamo nemmeno ignorare le realtà che ci impongono le contingenze storiche, lo Stato italiano non è disposto né a riconoscere diritti di autodeterminazione alcuno, né è tanto meno federativo.
Pretende di essere autonomista lo Stato italiano. E noi diciamo che non lo è, oppure che lo è in un modo oltremodo imperfetto e discutibile.
Noi abbiamo a disposizione il grado più basso dell’articolazione interna della sovranità di uno Stato: l’autonomia. Dobbiamo partire da quella, dobbiamo rendere quella più efficace e coerente, per poter pensare a forme di sovranità più elevate per la nazione friulana.
E quando pensiamo a forme di sovranità più elevate, pensiamo ad un futuro Stato confederativo europeo.
Non è una contraddizione. L’esigenza di integrazione reciproca delle nazioni è reale, come è reale il bisogno che ciò avvenga senza sopraffazione e senza il disconoscimento delle sovranità nazionali sui loro territori. Noi vorremmo che in una eventuale Confederazione europea i friulani fossero presenti come una nazione distinta dalle altre, anche se ad esse unita, e che tutta la confederazione fosse articolata secondo il principio delle sovranità nazionali e regionali ad esse interne. I friulani non sono una regionalità della nazione italiana, ma sono essi stessi una nazione.
La presenza della nazione friulana come una delle repubbliche di un futuro Stato europeo, richiederebbe la rinuncia da parte sua di alcune delle prerogative della sua sovranità: questo è ovvio; ma il rapporto sarebbe del tutto diverso da quello attuale con lo Stato italiano, che tenacemente nega alle sue nazioni interne autonomia e riconoscimento nazionale ad un tempo.
Quando prendiamo in considerazione il giacobinismo italico, non Possiamo fare a meno di istituire un confronto, molto interessante, in quanto ha luogo nell’ambito europeo e si riconduce ad una situazione storica un pochino analoga a quella del dopoguerra resistenziale italiano, quando è stata concepita la Costituzione e le autonomie che contiene.
Lo Stato spagnolo, uscito da poco dal franchismo, dichiara nella sua Costituzione: “la Costituzione riconosce, e la monarchia garantisce, il diritto all’autonomia delle differenti nazionalità e regioni spagnole
La proposizione è esemplare sul piano formale. Infatti essa non lascia equivoci sulla distinzione tra stato e nazione, fonda l’autonomia su basi nazionali e regionali, mantiene distinte le categorie di nazionalità e regionalità, tanto da non mettere sullo stesso piano nazioni diverse da quella castigliana come la catalana e la basca, con regionalità interne alla nazione castigliana, come la andalusa, o la asturiana.
Lo Stato italiano invece non riconosce lo stretto legame che c’è e ci dovrebbe essere tra un riconoscimento di nazionalità e un diritto di autonomia.
E nel diritto all’autonomia, non riconosce la necessità che ogni nazione abbia una istituzione autonoma con i confini ritagliati secondo i limiti del suo insediamento territoriale storico.
Ecco quindi che abbiamo un Trentino italiano e un Sudtirolo tedesco messi a forza in una Regione Trentino-Alto Adige, e una Regione Friuli-Venezia Giulia il cui “collage” risponde alle esigenze del “nazionalismo” italiano, e non certo a quello delle popolazioni della nazione friulana.
ŠTOKA. Più italiani che tedeschi.
DE AGOSTINI. Chiederemo a loro, Štoka. A me non sembra, perché vedo, almeno dall’ultimo censimento, che la gran parte degli italiani si stanno dichiarando tedeschi.
Questa è una cosa verificata da tutta la stampa in Alto Adige.
(Interruzione del consigliere Casula)
Allora vedi, se ciò va inteso in senso negativo, è un giudizio negativo sugli italiani, non sui tedeschi dell’Alto Adige.
MORELLI…. democristiani.
DE AGOSTINI. Sugli italiani, sull’opportunismo tipico italiano. E sul tipico opportunismo italiano!
Lo stato italiano si è dato nella Costituzione un articolo 6 che proclama di tutelare le “minoranze linguistiche” (che non osa chiamare col termine appropriato di “nazionalità”), ma non lo ha collegato affatto col principio dell’autonomia.
La nazione friulana ha un passato di sovranità istituzionale dai caratteri ben marcati. Il Patriarcato di Aquileia all’interno del Sacro Romano Impero godeva di diritti di sovranità, sul suo territorio. Si trattava di una sovranità nell’ambito di istituzioni feudali, ma la memoria storica di essa attraversò i secoli, passando oltre il lungo periodo della dominazione veneta.
ZANFAGNINI, Assessore alla pianificazione ed al bilancio. Non comprendeva, però, la cosiddetta nazione friulana.
DE AGOSTINI. Sì.
ZANFAGNINI, Assessore alla pianificazione ed al bilancio. … istituzionale è del tutto una sovrastruttura.
DE AGOSTINI. Però non era a brandelli la patria del Friuli. Esisteva e aveva un territorio anche più grande.
Quando si presentarono nell’Ottocento le questioni nazionali, le classi dirigenti e possidenti friulane si posero la questione della sovranità del Friuli in termini del tutto singolari.
Memori del passato, pretesero per il Friuli autonomia, dal momento che non si sentivano troppo forti per concepirne l’indipendenza. Ma una autonomia nell’ambito dello Stato italiano che si stava costituendo.
Lo Stato veneto aveva operato una integrazione degli interessi materiali e delle coscienze della borghesia e della aristocrazia friulane nella direzione della nazione italiana. E queste si guardarono bene dall’accogliere i suggerimenti degli ambienti culturali tedeschi, per esempio, che sostenevano l’esistenza di una nazionalità friulana distinta da quella italiana, partendo dal dato linguistico.
Autonomia del Friuli si, nazionalità friulana no. E così quei signori, i responsabili di allora si giocarono il futuro. Credettero di poter esercitare un diritto di sovranità sul territorio friulano, come ricompensa della rinuncia a considerarsi distinti, diversi dagli italiani.
Proclamarono che la singolarità dei friulani era quella di essere più italiani degli italiani, in quanto difensori dei confini orientali. E sul terreno dell’imperialismo scelsero di esercitare il loro ruolo di italianissimi.
Ho sentito un Assessore che ha fatto l’altra sera in TV, sul terzo canale, anche lui, di nuovo, professione di “italianissimo”. Mi dispiace, oggi non c’è. Come suo solito d’altronde, quando si fanno certe discussioni in quest’Aula, il friulanista latita sempre.
L’Italia guardava all’espansione dei Balcani? Bene. Era il caso di affidare ai friulani il compito dell’assimilazione degli indigeni. Bisognava avere fiducia in essi: bisognava concedere loro autonomia perché potessero svolgere meglio e più volentieri il loro ruolo di commissari del nazionalismo italico.
Queste non sono ipotesi, ma sono le tesi di un Pacifico Valussi, riprese più tardi coi medesimi toni da Ugo Pellis sulle riviste ufficiali della Società Filologica.
Si trattava di un autonomismo strettamente legato alle esigenze del nazionalismo italiano. Il senso di colpa di appartenere ad una nazione distinta da quella italiana si rovesciava nell’immagine deformata del friulano come variante del tutto speciale dell’essenza italica.
E per essere speciali i friulani dovevano diventare non solo i guardiani di questi confini, ma i più zelanti e prossimi assimilatori del mondo slavo.
Questi erano i programmi della Filologica “anni Venti”. E la Filologica raccoglieva il meglio della “intellighentsia” friulana di allora, la quale filtrava e proiettava le istanze e gli interessi delle classi possidenti nostrane.
E nel mentre si costruivano questi miti, si chiedeva ripetutamente autonomia per il Friuli.
La borghesia friulana voleva autonomia. La Filologica sulle sue riviste chiedeva il ripristino della “Patria del Friuli” in una Regione Friulana, e chiedeva autonomia.
Anche Pacifico Valussi aveva chiesto tanti anni prima autonomia per il Friuli. Fu proprio il nazionalismo italiano a togliere ai friulani ogni illusione di autonomia reale.
La prima guerra mondiale ed il fascismo poi fecero piazza pulita di ogni ipotesi di autonomismo. Così i friulani non furono né una nazione cosciente di esserlo, né tanto meno autonomi.
L’esigenza autonomistica si ripresentò puntuale nell’ultimo dopoguerra. Solo che questa volta essa venne sostenuta dai movimenti cattolici. La borghesia friulana si era ormai troppo screditata col fascismo per presentarsi con proposte in prima persona.
Caso mai, una parte di essa tentò di opporsi alle proposte di autonomia speciale per il Friuli che il Tessitori, il D’Aronco, il Marchetti e gli altri uomini del Movimento Autonomistico di allora andavano formulando ai tempi della Costituente.
C’era una sincera volontà di valorizzazione della friulanità attraverso l’autonomia, legame tra la rivendicazione friulanistica e quella autonomistica.
Non mancavano, certo, residui di nazionalismo alla vecchia maniera, soprattutto in Tessitori; c’era più coerenza nazionalitaria, per esempio, nel gruppo di Patrie del Friûl di Marchetti Ma tutti assieme, però – questo era importante! – volevano una Regione Friuli unita e autenticamente autonoma. Questa era la realtà di allora! L’unità c’era quella volta!
A Roma, però, solo i friulani sapevano dov’era il Friuli. Se non c’era il terremoto, non so quanti oggi, a Roma sarebbero a conoscenza dell’esistenza del Friuli, se non avessero fatto la naia da queste parti. E non tutti. Le sinistre friulane avversarono la Regione Friuli, e se poi ne accolsero l’ipotesi, fu per la questione slovena, e non per quella friulana. In compenso a Roma non si erano dimenticati della Venezia Giulia che ancora vagava incerta tra i confini della Jugoslavia e quelli dell’Italia.
Fu inventata la Regione Friuli-Venezia Giulia, un assurdo “collage” – ripeto – che si riprometteva di fissare una ipoteca sul futuro di Trieste e dintorni.
Ma introdurre Trieste in una Regione che avrebbe dovuto essere ritagliata secondo i confini della Patrie del Friûl significava rinverdire il nazionalismo italiano di confine, con tutto il suo seguito di miti e di frustrazioni.
E del nazionalismo Trieste ne avrebbe avuto ben bisogno, se doveva compensare la perdita del ruolo di città-porto della Mitteleuropa per cui era sorta, e grazie alla quale aveva prosperato
Bisognava solo attendere i tempi. Trieste non era ancora passata all’Italia. Ciò avvenne nel 1954. La istituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia fu rimandata con la decima norma transitoria della Costituzione.
Ovvio: essa non riguardava i friulani, ma gli altri! Recuperata Trieste avrebbe Potuto tirare avanti con l’assistenzialismo dello Stato e della Regione, in cui avrebbe avuto un ruolo dominante e ne avrebbe controllato i principali gangli i Potere, e, perché no, con la benevolenza più oltre collaudata dei friulani e della loro classe politica.
Non fu questa la logica dell’assegnazione della capitale e della sede regionale a Trieste? E del pervicace diniego di una Università friulana ai friulani che la chiedevano, per bocca degli stessi politici friulani? E delle “tangenti” per Trieste per ogni legge che impegnasse finanze dello Stato e della Regione, anche se riguardavano competenze del territorio friulano, non ultima la legge sul terremoto? Inutile nascondersi.
Quando arrivò la Regione Friuli-Venezia Giulia nel 1963, come Statuto non come Consiglio, i suoi poteri di autonomia erano già stati notevolmente compromessi. Le sentenze della Corte costituzionale negli anni Cinquanta si erano accanite a restringere i poteri delle regioni a statuto speciale già costituite. La sua autonomia avrebbe potuto esprimersi a livelli già notevolmente abbassati rispetto a quelli progettati al tempo della Costituente.
Inoltre l’ipoteca nazionalistica data dalla presenza di Trieste nella Regione avrebbe condizionato ogni politico friulano inserito nei partiti italiani. Trieste era stata a loro affidata in consegna in pupilance si dice in Friul: dovevano mantenerla, e mantenerla bene, la pupilla. Così è avvenuto e avviene tutt’oggi.
Noi dunque sosteniamo che né i contenuti della carta di autonomia, i poteri cioè affidati alla Regione, sono sufficienti a soddisfare le esigenze della nazione friulana, né la configurazione territoriale della Regione è tale da rendere giustizia alle diversità nazionali che vi sono contenute.
C’è dunque un problema di revisione dei poteri riconosciuti alla Regione, di rifondazione dell’autonomia in generale, e c’è un problema, che noi riteniamo prioritario, una “conditio sine qua non”, che è quello della costituzione di due regioni separate, quella del Friuli, comprendente i territori storici, e quella del territorio di Trieste.
Perché riteniamo necessario, anche se non sufficiente, il passo della separazione della Regione, per il raggiungimento di una più completa e autentica autonomia?
La chiarezza dovrebbe essere alla base di ogni atto, soprattutto poi se l’atto consiste in una scelta di carattere istituzionale.
Noi sosteniamo che alla base della costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia, nelle sue premesse, c’è il torbido del nazionalismo.
A distanza di tanti anni, il peccato di origine ritorna, e le argomentazioni contrarie alla proposta di separazione della Regione tirano spesso in ballo Trieste e la sua italianità offesa se la si dovesse abbandonare – ma chi dice poi di abbandonarla? – tutta sola in una Regione sua.
Su questo punto, che noi abbiamo cercato di argomentare storicamente, non si è mai avuto coraggio di fare chiarezza.
Tutti i partiti di questo Consiglio, che sono per la conservazione dell’unità di questa Regione mal nata, si sono costruiti la loro coscienza, usando ancora del nazionalismo per sostenere le loro tesi di unità regionale.
Anche le sinistre, che per definizione non dovrebbero risentire di nazionalismo, nel caso di Trieste ne risentono, eccome!
Crediamo peraltro che all’interno delle maggiori forze politiche, soprattutto della Democrazia Cristiana, esista una volontà friulana di costituire una Regione Friuli. Ne siamo convinti!
Soltanto che il politico democristiano, che esercita il suo ruolo su commissione – vedi Longo che ti anticipo – e non è disposto a rischiare per le sue autentiche convinzioni, nemmeno se hanno a che fare con i diritti del suo popolo, si affretta a esorcizzare l’idea che il Friuli mai possa costituire una sua propria Regione, magari come la voleva Tessitori. Salvo poi andare a celebrare il Tessitori, quando fa comodo alla DC.
Il comunista, poi, è disposto a confondere l’unità della Regione con l’unità del proletariato. “I lavoratori friulani non si possono separare dai lavoratori triestini”. Giusto. Sacrosanto! Rispondiamo noi.
PASCOLAT. Sei indietro….
ROSSETTI. Dove le hai lette queste cose?
DE AGOSTINI. Queste cose voi le avete dette! Cito quello che abbiamo sentito e letto. Poi quando me lo richiederai te lo dirò. Comunque quello che cito è tutto virgolettato, solo che tu non potevi pretendere che venissi qui con tutte le pezze giustificative. Poi quando vuoi te le cerco.
Ma se il problema cruciale dovesse essere questo, che le regioni separano i lavoratori, dovremmo essere conseguenti ed abolire tutte le Regioni.
Il Partito Comunista della Regione poi ha escogitato un marchingegno per dire la sua in fatto di autonomia. Dal momento che la crisi della Regione Friuli-Venezia Giulia è innegabile … Oggi si discute anche di questo, tant’è che, come mi faceva scherzosamente osservare il Presidente, prima di iniziare il dibattito un refolo freudiano ha fatto in maniera che la bandiera della Regione scendesse a mezz’asta.
I peccati di origine cominciano a produrre effetti di crisi sempre più evidenti, hanno pensato di scaricare la tensione principale tra Friuli e Trieste proponendo la costituzione di subregioni o subprovince, subcircondari, dotate di alcuni poteri di autonomia, così che ognuno si senta più autonomo nell’orto di casa, nell’ambito della unità regionale, bene supremo ed intoccabile.
Così Trieste avrà i vantaggi antichi, della Regione unita e sotto il suo controllo, e quelli nuovi, cioè quelli del Friuli ancora più diviso.
E ciò gli sarà ancora più vantaggioso se si aggiungerà alla proposta comunista quella suggerita tempo fa dal PSI, che vorrebbe una specialità tipo provincia di Bolzano per Trieste, sempre all’interno dell’unità regionale. Per i friulani, l’unità, per i triestini, la specialità!
Le posizioni di tutti i partiti, dalla destra alla sinistra, collimano con quelle della Lista per Trieste, e questo conforta la nostra tesi. Difatti mi sono meravigliato che alla discussione non fosse stata collegata anche la proposta di legge della Lista per Trieste. Quelli erano due documenti da discutersi insieme, non quello nostro con quello del PCI.
I motivi dunque per cui sosteniamo la necessità di arrivare ad una Regione Friuli, cui vorremmo fosse data la denominazione storica di “Patrie dal Friûl”, sono in riassunto i seguenti:
1. Motivi in positivo: ogni nazionalità, soprattutto se compatta sul suo territorio, ha diritto a trovare espressione politica autonoma, in cui rispecchiare la sua identità, in una istituzione territoriale che comprenda essa e essa soltanto, o, al massimo, i frammenti di altre nazionalità cui devono essere assicurati i propri diritti.
Il Friuli ha un territorio nazionale definibile storicamente, al di là delle perdite linguistiche, costituito dalle province di Udine, Gorizia e Pordenone e dal Mandamento di Portogruaro: e compatto, può e deve per diritto essere costituito in una Regione della Repubblica tutta sua, senza aggiunte esterne. Trieste è stata ed è una aggiunta esterna.
2. Motivi in negativo: 1) bisogna togliere da questa Regione l’ipoteca del nazionalismo per cui è sorta; 2) bisogna impedire alla classe dirigente triestina di scaricare il suo declino storico sulla istituzione regionale che comprende un altro popolo, occupandone i posti chiave, controllandone il funzionamento, rendendola ricattabile ad ogni passo. Ad ognuno la sua istituzione e le sue responsabilità. La futura collaborazione fra friulani e triestini andrà costruita su queste premesse, e non su quelle false e forzate del passato e del presente.
Solo dopo la costituzione della Regione friulana sarà possibile parlare di autonomia del Friuli, tracciarne il progetto, fissarne i contenu.
Ogni operazione di revisione autonomistica che non tenga conto della necessaria separazione tra Friuli e Trieste, sarà una operazione ipocrita nella sostanza, che noi avverseremo con tutte le nostre forze, e che denunceremo al popolo friulano.
Ora non voglio rinunciare a quelle che definisco le motivazioni oggettive per arrivare alla separazione, quelle motivazioni che tutti – a cominciare dall’uomo della strada – si trovano di fronte ogni giorno.
Quindi, iniziando a discutere dei fatti concreti, evidenti, a portata di tutti, vorrei richiamarmi ai primi tempi della presenza del Movimento Friuli in Consiglio regionale.
Era l’estate del 1968 … e qui c’è qualche sopravvissuto: Mizzau, il Presidente Comelli, Morelli, non sono in molti quelli di allora. Sono rimasti in tre.
MIZZAU, Assessore all’agricoltura. Il friulano vero è rimasto!
DE AGOSTINI. Ma la canzoncina di Modugno quando parlava di tre erano tre …
Era ancora lontana la nascita della Lista per Trieste, e 38.898 elettori friulani, grazie anche ad un incidente toccato all’allora Partito Socialista Unificato, da poco, avevano dato il loro voto ad una nuova forza politica, il “Movimento Friuli”, e mandato in Consiglio regionale tre friulani senza briglia e senza morso.
Ecco che improvvisamente qualche cosa in Consiglio regionale era cambiata, e questo dava fastidio a molti. Ed ha continuato a dare fastidio a molti, solo che ora ci si è adeguati, rispettando le volontà dell’elettorato.
Le reazioni furono violente: le accuse di campanilismo, di qualunquismo, di separatismo e, perfino, di razzismo, si sprecavano.
Questo risulta tutto dai resoconti consiliari. Caro Floramo, non dico niente di più di quello che risulta dalla lettura dei resoconti.
Erano i tempi in cui non era possibile, in Consiglio, fare battute in friulano del tipo: “Tu às reson, ma Triest nus free”, che bisognava rispiegarle in italiano. Erano i tempi in cui anche il termine “etnia” era considerato, da certi Consiglieri regionali, una brutta parola, “addirittura una parolaccia! “. Questo si trova scritto.
Fausto Schiavi fu il primo, in Consiglio regionale, a parlare di “vera e propria oppressione culturale, politica, economica di Trieste ai danni del Friuli”.
Fu lui a denunciare pubblicamente quanto stava accadendo dietro l’alibi dell’unità regionale: “Mentre Trieste ottiene cose concrete, noi ci dobbiamo accontentare solo ed unicamente di parole”. Una sua proposta, inascoltata, è ovvio, fu quella di ripartire il contributo statale nella misura dell’85% al Friuli e del 15% a Trieste. È chiaro che fu inascoltaro, Mizzau, sarebbe inascoltata anche ora quella proposta.
Schiavi sollevò molti problemi; altri ancora furono sollevati da coloro che vennero dopo di lui. Ma a Schiavi va indubbiamente il merito di aver impostato le basi della “vertenza” friulana.
L’allora presidente della Giunta regionale, Berzanti (che Schiavi definiva “inamovibile ed intoccabile proconsole di Roma in queste terre”) ribadiva l’esigenza di rafforzare l’unità regionale.
Altrettanto fa il Presidente Comelli ai giorni nostri, ma in questo è sempre in buona compagnia, quindi non gli si possono addossare responsabilità uniche.
CASULA. Proconsole anche lui?
DE AGOSTINI. No, non è la stessa cosa. Proconsole era Berzanti. Ho detto solo che anche Comelli, come Berzanti, si sforza di affermare la validità dell’unità regionale. Non l’ho definito proconsole, chissà, potrei avere qualche altra definizione!
MIZZAU, Assessore all’agricoltura. Non è un’offesa.
DE AGOSTINI. Appunto, non è un’offesa perché ne riveste la carica, se ci tiene.
Trieste, in 10 anni, – diceva Schiavi – aveva ricevuto dallo Stato 300 miliardi, oltre un milione per ogni triestino. E un milione, una ventina d’anni fa, non era francamente poco. Schiavi disse: “Non possiamo tollerare che si ottenga solo per Trieste, e che poi si venga a dire che ciò è a vantaggio di tutto il Friuli-Venezia Giulia”.
Oggi io dico, e sono cosciente, convinto che corrisponde al vero, che in Schiavi non c’era invidia per quello che otteneva Trieste, come non c’è invidia da parte dei friulani per quello che ottiene Trieste, in Schiavi e nei friulani c’era, semmai, rammarico per quello che non otteneva il Friuli.
Disse ancora Schiavi: “Noi, per vincere, dobbiamo attuare un prelavoro culturale che favorisca la presa di coscienza di un sempre maggior numero di friulani, che li ponga in condizione di scegliere autonomamente, senza condiziona-menti culturali, economici o sociali, il loro futuro
Questo prelavoro culturale noi lo abbiamo portato avanti e oggi, finalmente, iniziamo in questo Consiglio a discutere di una regione autonoma Friuli a Statuto speciale, coscienti di rappresentare, oltre ai nostri elettori, – che sono quelli che sono – anche quei 95.000 che hanno sottoscritto il referendum per il “Sì” alla regione friulana.
E un grande compito, una grande responsabilità quella che oggi, come Consiglieri regionali del MF, ci assumiamo: perché una lotta che ha avuto tanti protagonisti, tanti alfieri, oggi si trova, non solo idealmente, nelle nostre mani e nella forza che ci hanno dato gli elettori; ed è in nome di tutti questi che noi, oggi, vogliamo parlare, anche se a qualcuno forse può interessare di più a che punto sono le trattative per la definizione della maggioranza alla Provincia ed al Comune di Trieste.
Non siamo dunque soli: il Friuli ed i friulani, quando occorre, sanno esprimere la loro volontà: 125.000 hanno sottoscritto per l’Università. friulana; oltre 60.000 per la tutela delle comunità etnico-linguistiche della regione; 95.000 per l’istituzione della regione Friuli: ed ogni volta, accanto a loro, ed in prima linea in questo Consiglio,il Movimento Friuli.
PASCOLAT. Anche Zico …
DE AGOSTINI. Anche Zico! Non per niente, caro Pascolat, tu sai benissimo che una delle più grosse invidie dei triestini è la presenza di Zico a Udine. Leggendo tutti i fogli e foglietti triestini questo emerge.
(Confusione in Aula)
E le scritte che c’erano allo stadio? Il Presidente è andato alla partita, io no, perché non sarebbe stato coerente da parte mia contribuire all’incasso della Triestina. Il Presidente probabilmente non è stato coerente perché non ha pagato. Io avrei dovuto farlo. Le scritte che c’erano, gli slogan erano in questo senso.
PASCOLAT. Non sai cogliere gli aspetti simpatici …
DE AGOSTINI. Ogni appuntamento, ogni sfida è stata da noi raccolta, fino a questa che, forse, è la sfida più grande, una sfida da cui oggi certamente non usciremo vincitori.
I friulani che hanno coscienza di questi problemi, e che sono d’accordo con noi sono molti, molti di più dei nostri elettori, segno che quel prelavoro culturale di cui parlavamo ha dato i suoi frutti.
E mi sovviene un’altra tesi del Movimento Friuli di quegli anni: “La nostra battaglia di fondo – lo era allora come lo è oggi – dovrà per forza essere portata avanti con una tattica diversa da quella usata nei primi anni. La nuova strategia del convincimento, della critica dura – se occorre – ma non fine a se stessa, della contro-proposta alla quale deve essere difficile dire di no
Noi abbiamo capito e imparato, nel frattempo, molte cose. Una, soprattutto, che allora non era così chiara come lo è oggi, ed è questa: la vera motivazione della divisione di cui parliamo sta di casa proprio a Trieste.
Prendiamo, per esempio, il problema del separatismo di cui ci si accusava in quei tempi. Non veniva detto che il Movimento Friuli era autonomista. Per denigrarlo si diceva che il Movimento Friuli era separatista, era austriacante, partecipava a manifestazioni con lutto al braccio quando arrivava il Presidente della Repubblica, Saragat. Si inventarono una infinità di cose.
(Interruzione incomprensibile)
Ma sai Bertoli, quando allora definivamo il Messaggero Veneto “Menzognero e topo di fogna”, per l’amor di Dio! …. lo ha detto Mazza ora ed è la verità. E nessuno lo ha querelato, non so se pagherà sul piano personale, certamente io da Vittorino Meloni ho avuto l’onore della censura, il mio nome non si doveva e non si deve fare sul Messaggero. Tant’è che trovate o un D’Agostini o Agostinis minuscolo e Movimento Friuli, tutto minuscolo e questo avviene da 10 anni, mentre altri si tengono in caldo l’omuncolo per avere le fotografie ricorrenti sul giornale.
Prendiamo per esempio il problema del separatismo di cui ci si accusava in quei tempi. Se quei politici avessero studiato un po’ anche la loro storia, la storia di questa regione, anziché solo quella di Cesare e Marc’Antonio, avrebbero saputo che è proprio Trieste, a differenza del Friuli, che ha conosciuto, nel dopoguerra, movimenti separatisti, perché qui si poneva il problema di una etnia diversa da quella italiana; qui soprattutto era maggiore il numero delle rivendicazioni, assunte e poi lasciate perdere da tutti i partiti, senza tuttavia che di esse fosse svanita la risonanza nella pubblica opinione, talchè si instaurò un diffuso stato d’animo, che via via si è sempre con maggior amarezza rinnovato. Questo non lo dico soltanto io, ma lo dice anche il professor Bartole, che non può essere considerato un esterno di comodo del Movimento Friuli.
Separatismi dicevo, non separatismo, ed il ricorso al plurale è ampiamente giustificato. Non va infatti dimenticato l’atteggiamento favorevole – consideriamo qui il fatto come fatto storico, quindi passato e privo di conseguenze per il presente – all’incorporazione della Venezia Giulia intera nella Repubblica Federale Jugoslava, che non fu solo degli appartenenti al gruppo etnico sloveno, ma pure delle federazioni di Gorizia e di Trieste del PCI, che appunto a questo fine dichiararono nell’agosto 1945 la recessione dal partito di appartenenza, costituendo assieme ai compagni sloveni e croati il Partito Comunista della regione Giulia, che si estendeva all’intera Istria ed a Fiume.
Accanto a questo separatismo, destinato a non trovare più espressione all’indomani della firma del trattato di pace, va annoverato pure quello specifico, mirante fin dal 1945 alla realizzazione di un libero stato giuliano, e ripiegato a più miti pretese dopo il 1947, in quanto soddisfatto dell’ipotesi di costituzione del Territorio Libero di Trieste.
Va poi ricordato, a questo proposito, che fino alla firma del Memorandum d’Intesa di Londra, col quale si riconosceva la impossibilità di dar vita effettiva al TLT, a favore di quest’ultimo si erano dichiarati, oltre ai movimenti programmaticamente indipendentisti, il Partito Comunista, che aveva nuovamente cambiato denominazione, diventando Partito comunista del Territorio Libero di Trieste, nonché l’Unione Slovena, raggruppamento di più formazioni – cattoliche le une e liberaleggianti le altre – che raccoglievano gli sloveni non favorevoli all’indirizzo politico affermatosi in Jugoslavia.
Sempre in questa prospettiva si situa, a nostro avviso, il problema che gli altri sovrasta a Trieste, negli anni successivi al ritorno dell’amministrazione italiana nella città: quello connesso alla richiesta dell’istituzione di una zona franca integrale. Dietro a questa rivendicazione stanno secoli di storia autentica e di leggende, coltivate in sede storiografica ed a livello di pubblica opinione.
È vero che la storia moderna di Trieste incomincia con la sua erezione a porto franco il 18 marzo 1719, ma è anche vero che non si rivelano gravi i contraccolpi della soppressione del regime di franchigia, decisa nel 1891.
Tuttavia, pur se da non molti conosciuta, nell’anima dei triestini è radicata la “cronica di Monte Muliano” il documento cinquecentesco (o forse quattrocentesco) che vorrebbe addirittura i Romani discendenti dai Montemulianesi (triestini), i quali ultimi rifiutano di versare ai Romani un tributo, pronti fino ad abbandonare il luogo natio ed a resistere in modo da obbligare i dominanti ad un ripensamento, talchè: “Lo Imperio a voi tutti, ve vuoi fare franchi, e franchisia naturale, che voi, e li vostri, e chi sarà di voi, in tutto e per tutto siate franchi per sempre volè fare, come in questo sigillo appare”.
Presa per autentica da Ireneo della Croce e da Vincenzo Scussa, correttamente intesa da Pietro Kandler, la “cronica” può ancora aiutare a capire i molti aspetti della realtà triestina e la sua richiesta di autonomia.
Ma tornando alle motivazioni palpabili per arrivare ad una divisione, comincio a citare anche dei fatti concreti.
Domenica 27 marzo 1983 (poco più di un anno fa, dunque). Assemblea-comizio di apertura della campagna elettorale per le elezioni regionali della Lista per Trieste. Parla il sindaco di Trieste, Cecovini: “Autonomia significa capacità e titolo della città e della provincia ad amministrarsi da sé, a darsi le proprie leggi locali in sostituzione della regione, a spendere secondo i suoi criteri di reddito ch’essa produce, e che non solo, oggi, è amministrato, ma è anche in una certa misura consumato dai friulani …
I friulani pretendono ancora che Trieste viva parassitariamente a spese del Friuli. È per questo – continua Cecovini – che nel Friuli, pur terremotato, sono sorte industrie a centinaia, si è costruito il più bel stadio sportivo d’Italia, si mantiene una squadra di calcio che ha un patrimonio di giocatori di qualche decina di miliardi; forse perché noi gli siamo parassiti è sorta una università che non ha fiato per vivere, ma appaga tuttavia il provincialismo ambizioso di tanti friulani; forse per questo si progetta un garage sotterraneo a 7 piani? Con quali soldi si realizzano queste opere ciclopiche e in gran parte improduttive? Con le tasse che pagano i friulani o non piuttosto, almeno in parte, con quelle che paghiamo noi? Ecco perché vogliamo l’autonomia. Ci farebbe più ricchi”.
Se questi fossero discorsi – Presidente, ripeto, lei che è uno sportivo appassionato – fatti fra due frange di tifosi beh, sarebbero disdicevoli ma perlomeno accettabili a quel livello, ma fatti da un Sindaco in carica, forse aveva anche la fascia tricolore al giro vita, in una assemblea, in un comizio ufficiale, in pubblico, beh, questi discorsi lasciano pensare da che parte sta la volontà di rompere, di rendere insopportabile il mantenimento della situazione attuale.
Le cose dette dall’ex sindaco (ma non sarà forse proprio lui il nuovo sindaco di Trieste?) erano talmente esagerate (uso un eufemismo linguistico) che le smentite non si fecero attendere; tra tutte, ci piace ricordare le motivazioni con le quali il consigliere comunale Parovel, triestino, chiese le dimissioni dell’allora sindaco Cecovini per sue “pubbliche dichiarazioni menzognere, tendenti ad aizzare a scopo elettoralistico, nella regione, la popolazione di Trieste contro quella friulana”.
Ma anche il segretario regionale della DC non fu da meno, affermando: “Ci troviamo in un clima politico in cui ci sono dei bugiardi: uno di questi è il sindaco di Trieste che, durante L’assemblea della Lista, ha deliberatamente detto delle falsità”.
Ora, chiedo a Biasutti se sarà coerente, in questa nuova maggioranza che sta nascendo a Trieste: rifiuterà questi bugiardi, oppure, applicando l’inflazionato istituto dei pentiti, metterà, su tutto, una pietra grossa così? Questi sono anche segnali di connivenza!
Ma Cecovini è in buona compagnia: basterà ricordare le varie dichiarazioni di diverse esponenti che contano a Trieste, in occasione dell’elezione dell’attuale Giunta; l’elezione degli assessori, disse qualcuno, è uno schifo (mi sembra fosse Mauro, repubblicano); Trieste è stata dimenticata e giù a promettere tuoni e fulmini da parte di diversi.
Ora, comunque, appare tutto più chiaro. È confermato da Cecovini che i triestini hanno un reddito più elevato rispetto a quello dei friulani; risulta nitidamente una buona dose di invidia, mi limito a Cecovini, tutta triestina nei confronti dei friulani, e si delinea con maggiore precisione quale “autonomia” viene richiesta da Trieste.
Reddito pro-capite: Cecovini (e molti con lui) rivendica il diritto di Trieste ad amministrarsi da sé, di darsi delle leggi locali proprie, di spendere secondo i suoi criteri ciò che produce.
Ben e,è proprio quello che, senza infingimenti, noi chiediamo anche per il Friuli.
Anche perché Trieste non ha saputo – voluto – volgere in alcun modo il ruolo di capitale regionale. La domanda che feci in occasione del dibattito per l’elezione della Giunta è ancora sospesa, ed aspetta una risposta: che cosa ha fatto Trieste per la Regione? Nulla, o quasi: questa è la realtà. È proprio da questo che nasce il fallimento dell’unità regionale. Trieste non si è integrata in questa regione, non lo può fare, sia perché i suoi problemi sono troppo distanti da quelli del Friuli, sia perché Trieste e le forze politiche triestine han sempre operato solo per Trieste. Ecco perché dicevo che la vera motivazione della divisione della regione sta di casa a Trieste.
Il Movimento Friuli ha avuto il merito di averlo capito tanti anni fa e di aver agito di conseguenza.
Trieste – forse ha anche ragione in questo – ha sempre e soltanto visto la sua situazione negativa, contrapponendola a quella presunta rosea del Friuli: su questa dicotomia ha giocato e sta continuamente giocando anche in questo Consiglio regionale. Ma, se possiamo comprendere gli affanni triestini, dato il ruolo che si è voluto assegnare a Trieste, non possiamo non rilevare che, in quella prospettiva, Trieste ha espresso una politica egoistica e municipalistica, in funzione strettamente cittadina.
Io personalmente sostengo che sia di una miopia politica che non supera Miramare.
Trieste, questo è incontrovertibile, è mancata al suo ruolo, alla sua funzione. Dirò di più: la posizione di partenza del MF, favorevole alla separazione della regione, avrebbe potuto, proprio perché espressa da tanto tempo, essere sconfitta se Trieste avesse giocato il suo ruolo, avesse risposto ad una vocazione, anche se imposta. Invece, questo non è accaduto e quindi non ne possiamo che trarre le conclusioni. Per battere le spinte alla divisione della regione, Trieste avrebbe dovuto farsi carico della realtà regionale intera: non lo ha fatto e, anzi, continua nella sua visione cittadina di rivendicazione dei suoi soli problemi: gli esempi datici ultimamente dall’attuale Sindaco, che non è Cecovini, è Richetti, sono più che sufficienti, per non parlare poi …
RINALDI, Assessore alle finanze. Quali cose ha fatto?
DE AGOSTINI. Gli ultimi, quelli degli interventi statali solo a Trieste. Suvvia, avete avuto problemi interni su questo, non fatevi spiegare quello che sapete meglio di me … per non parlare dei ricorrenti tuoni …
VIGINI. Raccogli dicerie…
DE AGOSTINI. … ma io so che il tuo capogruppo, il giorno dopo, arrivò in Commissione e disse: “gli amici triestini hanno fatto una gran monata …” e così avanti. Dai!
Per non parlare dei ricorrenti tuoni minacciosi che ogni tanto lancia Carbone. Vedi che Carbone fa cenno di sì! E qui rendo merito che questo è il suo ruolo, è stato eletto qui per questo! È stato eletto anche in contrapposizione al suo collega che c’era prima, che era uno di “quelli del dogma dell’unità regionale”, Carbone fa bene e gioca le sue carte. Ed io rispetto quello che dice. Ha ragione!
Parliamo pure dei vecchi tempi, quando Trieste nella regione aveva – ammettiamo anche questo – un diverso peso politico, di quanto non ne abbia adesso. Ora le cose sono cambiate. Ed è bene che sia stato così, per fortuna di tutti.
Noi riconosciamo infatti che l’avanzamento e lo sviluppo (pur con tante ombre) della regione è avvenuto per merito soprattutto della classe politica imprenditoriale friulana, molto più attenta a cogliere i problemi triestini di quanto lo fosse quella triestina rispetto ai problemi friulani.
Non diciamo solo noi queste cose. Lo afferma anche il prof. Bartole, quando dice che “Il disegno di integrazione è stato più una operazione di vertice che una realizzazione effettivamente sentita dalla base … Si può affermare che, mentre il capoluogo della regione non ha mai saputo guardare al Friuli, quest’ultimo ha saputo guardare a Trieste anche se neppure esso ha saputo proporre un diffuso e largo disegno di integrazione …”.
Quali sono, allora le possibilità per il futuro? Gli amici triestini (sia chiaro che li chiamo così perché tali sono: il nostro è un discorso politico) stanno tentando di cogliere nuove opportunità di sviluppo solo per la loro città. Ed è giusto, è nel loro diritto. Basta che diciamo chiaramente che Trieste non è la capitale della regione, e che ognuno vada per la sua strada. Io sono certo che, fatto questo, su tante cose andremo d’accordo, o quasi.
Sulle prospettive, anch’io ho delle idee. Mi pare, intanto, che i triestini appaiano indecisi tra le ipotesi lontane, se non addirittura inesistenti, e quelle realizzabili. C’è chi sostiene una prospettiva commerciale per il porto di Trieste, altri invece sostengono quella carbonifera; c’è chi si fa paladino di un rilancio culturale e chi vedrebbe favorevolmente uno sviluppo industriale.
Il porto. Anche nel caso che la sua operatività crescesse vertiginosamente, non potrebbe assorbire più di un migliaio di addetti, data la tendenza inarrestabile all’aumento della meccanizzazione.
TerminaI carbonifero. Il progettato scalo carboni potrebbe dare lavoro a non più di 150 addetti. E questo solamente all’entrata in funzione dello scalo di Cervignano e della superstrada Molo VII-Fernetti. Quindi non prima degli anni ‘90.
Università: ormai completa, lascia intravedere poche prospettive di espansione.
Uffici regionali. L’Ente Regione ha già fatto il massimo, concentrando a Trieste oltre un migliaio di posti di lavoro. L’occupazione aggiuntiva che dovesse creare in futuro, dovrà giustamente trovare localizzazione in altre sedi del territorio regionale.
Industria. Scartata l’ipotesi della zona franca sul Carso, Trieste dispone di 3 aree suscettibili di ospitare nuove attività industriali. Di queste, la sola inutilizzata è la Valle delle Noghere. Le altre due sono: la fascia costiera, ove attualmente sorgono l’Italsider e gli impianti della Esso, ed il punto franco vecchio. Eliminando le vecchie strutture, potrebbero svilupparsi nuove zone industriali. Ma tra quanti anni? E in questi periodi con quali prospettive?
“Questa città non sa trovare unità d’intenti” ha affermato, tempo fa, il Presidente degli industriali triestini, De Riu; noi, da parte nostra, auguriamo invece che ciò accada.
Raddoppio del molo VII, costruzione di un nuovo terminaI per i traghetti, metropolitana, galleria stradale sottomarina che attraversi tutta la città, macchine per la luce di sincrotrone, eccetera eccetera. Tutte richieste partite da Trieste negli ultimi tempi e che si sommano alle opere colossali tipo il raddoppio della ferrovia pontebbana (600 miliardi); l’autostrada (750 miliardi), lo scalo di Cervignano, il traforo di Monte Croce Carnico, la superstrada Molo VII-Altopiano carsico; servo no veramente al rilancio di Trieste? Noi abbiamo dei dubbi.
Il risultato complessivo di quanto ho detto evidenzia l’abisso che divide Trieste dal Friuli. Per superare questi problemi potrebbe certamente essere d’aiuto la volontà politica di dividere il Friuli da Trieste.
Perché così, amici cari, non si può continuare: Trieste non si rassegna ad essere uno dei 4 capoluoghi di provincia della Regione, uguale ed alla pari degli altri, ed insiste in continue provocazioni, vedi certi programmi, che sono stati riportati dalla stampa. C’è stata un’assemblea, un dibattito a Trieste, dove persone non certamente raccolte per la strada -, erano presenti deputati, esponenti politici ed imprenditoriali – affrontando il problema del ripopolamento o del calo demografico e del rilancio della città, hanno pensato di risolvere il problema proponendo una legge, che permetta di riportare a casa i cervelli triestini sparsi per il mondo, (questa è una grave ammissione perché si riconosce che a Trieste, di cervelli, non ce ne sono più) e d’importare per il ripopolamento delle dieci, venti, quarantamila braccia friulane, prima o poi destinate a rimanere disoccupate, perché la ricostruzione dopo il terremoto, sta esaurendosi. Io dico che questi atteggiamenti, in puro stile coloniale inglese- per non fare paragoni diversi che potrebbero essere più cattivi – assieme all’ostentata, pretesa superiorità sul piano politico, culturale ed imprenditoriale, non possono che generare risentimenti. E c’è da meravigliarsi che in Friuli -“in contado” – visto da voi – il tutto si riduca a “friulani mugugnamenti” in ostarie denant dal tai o, caso unico per ora, a quel volantino che ha fatto tanto incavolare il consigliere Gambassini.
MORELLI. Tu manifesti complessi di campanilismo …
DE AGOSTINI. Caso mai il contrario, questo puoi dirlo ai Triestini…
(Varie interruzioni da parte del consigliere Morelli)
VIGINI. In Giunta ci sono più friulani … i soldi…
DE AGOSTINI. Tonutti lo avete messo a fare il cassiere della Democrazia cristiana, quindi non è che adesso i soldi della Democrazia cristiana li amministrano i friulani, no?
(Altre interruzioni)
VIGINI. Hai complessi di inferiorità?
PUPPINI D’AGARO Cornelia. Noi non abbiamo nessun complesso…
DE AGOSTINI. Ci si scandalizza per un volantino che arriva a Trieste, del quale si cerca di attribuire la paternità al Movimento Friuli, tant’è che mette in imbarazzo il Presidente della Giunta che non ha voluto confermare quello che Gambassini dava per scontato quando ha fatto riferimento a colleghi che sono in questo Consiglio, che lui stima, ma che però sono come le galline, a cui si fa la riga davanti e si fermano. Gambassini quella mattina si è alzato male, si è guardato allo specchio, e ha formulato un’ipotesi valevole per lui e l’ha calzata a noi!
(Interruzione incomprensibile del consigliere Morelli)
… comunque né Gambassini, né il presidente che gli ha replicato, hanno ammesso che quel volantino fosse stato perlomeno commissionato, se non fatto direttamente, dal Movimento Friuli. Noi abbiamo risposto che non era nostro, e questo secondo me è importante, infatti sarebbe stato meno importante se l’avessimo fatto veramente noi. Il fatto che l’abbiano redatto altri è importante proprio per questo, comunque c’è stato un solo volantino da parte del Friuli, mentre sono anni che da parte “triestina” si fanno pubblicazioni come “La Cittadella”, “Il Meridiano”, “La Voce Libera”, in cui si provocano i friulani.
(Interruzione del consigliere Cavallo)
… sai, l’umorismo è tale a seconda di come lo si usa, qualcuno a suo tempo lo ha usato in maniera … lascia stare! Certamente l’andare a dire che Cecovini è costato 7 miliardi come Rummenigge, quello sì può essere umorismo, si potrebbe anche dire che qualcuno del Movimento Friuli può costarne tre e mezzo.
Ma poiché non crediamo ad un ripensamento della classe culturale e politica triestina, per Trieste sarà difficile un cambiamento del genere; infatti, si continua a chiedere senza dare, a vivere di illusioni senza affrontare la realtà.
PASCOLAT. Io mi rifiuto di entrare nella “tua Regione”.
DE AGOSTINI. Pascolat, anin a dimal di tos bandis!
E allora non c’è che la separazione consensuale, credetemi, dopodiché Trieste sarà obbligata…
(Interruzione del consigliere Pascolat)
Va bene, nessuno vuoi farti violenza, Pascolat. Qualora ci fosse l’autodeterminazione, sappiamo che tu preferisci qualcos’altro …
PASCOLAT. Pasolini
DE AGOSTINI. Non richiamare Pasolini, per l’amor di Dio, sta quiet Pascolat, torne a rileital.
(Interruzione incomprensibile)
… tu tu cognosis i titui!
PASCOLAT. Ma scherziamo!
DE AGOSTINI. E allora non c’è che la separazione consensuale, credetemi dopo di che Trieste sarà obbligata a guardarsi al suo interno e a trovare in sé i motivi e la forza per andare avanti; peccato che tale volontà è come il coraggio: chi non ce l’ha, non è in grado di darselo.
PASCOLAT. Le servitù militari…
DE AGOSTINI. Io non conosco ancora, quale progetto voi abbiate per la Trieste del domani, per ora vi siete limitati a mandare Cecovini al Parlamento Europeo, a fargli fare un progetto Europa-Friuli-Trieste, perché ancora i progetti triestini DOC, quelli con l’alabarda, non ce li avete.
MIZZAU, Assessore all’agricoltura. Bisogna mandare un friulano!
DE AGOSTINI. Ecco, bravo, solo che io, Mizzau, non voglio fare progetti colonialisti e nemmeno proposte di questo genere.
MIZZAU, Assessore all’agricoltura. E per questo dicevo di non parlare troppo male di Trieste, perché devono votare un friulano anche i triestini!
DE AGOSTINI. Lo so, professor Mizzau!
MORELLI. La politica, che arte raffinata, Mizzau!
DE AGOSTINI. Comunque, ritornando a Trieste dico che sarà obbligata a guardarsi al suo interno e a trovare in sé i motivi e la forza per continuare. Peccato che tale volontà è come il coraggio: chi non ce l’ha non è in grado di darselo. Diversamente – ed è l’ipotesi che meno mi alletta, però sembra che piaccia a Mizzau che mi ha anticipato – alla città di Trieste non rimarrà che friulanizzarsi, non tanto nel senso culturale…
MORELLI. Non è la prima volta, sarebbe la seconda, tu che conosci la storia!
DE AGOSTINI. Morelli, ti ho detto che a me non alletta, a Mizzau si. Quindi rivolgiti a lui!
MIZZAU, Assessore all’agricoltura. Se vado a dire quelle cose non prendo più un voto!
DE AGOSTINI. Non tanto in senso culturale, quanto in quello dell’acquisizione di una cultura friulana da parte della sua classe politica e imprenditoriale. Naturalmente mi riferisco alla classe politica e imprenditoriale triestina.
È chiaro che, con una votazione che potremmo definire brutale, perché quando si decide di non essere disponibili a discutere, quando si dice riparliamone, si può dar luogo ad una votazione brutale, voi potete oggi sconfiggere la proposta del Movimento Friuli, ma non potete eliminare il problema da noi esposto, perché sconfiggete noi e questa proposta di legge, però il problema nella società regionale rimane.
Potrete sconfiggere – ripeto – il Movimento Friuli ma non vincete questa battaglia. Sconfiggerete con noi le popolazioni del Friuli, che chiedono queste cose assieme ai principi di democrazia. Popolazioni che hanno dato un’indicazione di volontà politica chiara, firmando 95.000 richieste di autonomia.
Non basta dire di no, quando la volontà popolare è un’altra. Va verificata. Come del resto diversa era la volontà popolare prima dell’istituzione di questa regione.
Chiediamo, perciò, che si attivi il criterio dell’autodeterminazione, del referendum popolare promessoci più volte. Vedasi anche le dichiarazioni programmatiche del Presidente della Giunta. In democrazia la sovranità spetta al popolo e il voto è lo strumento con il quale si esprime la volontà popolare.
Abbiamo consultato le popolazioni sulla nostra proposta di legge per la tutela delle minoranze etnico-linguistiche, voi non l’avete fatto. Avete solo votato contro! Abbiamo ottenuto l’assenso anche di tanti cittadini che non hanno di certo votato per il Movimento Friuli, per cui il nostro impegno e il dovere che da sempre ci anima lo abbiamo portato a termine e ora sta a voi, e a voi soltanto, dirci semplicemente di no.
Cornelia Puppini D’Agaro
Signor Presidente, egregi colleghi! Personalmente ringrazio il Presidente Turello per aver ridato a questo Consiglio la dignità che gli spetta, in quanto qualsiasi forza politica ha diritto di esprimere le sue istanze e le sue richieste. Lei per primo in questo Consiglio ha dato questa possibilità e noi gliela riconosciamo.
Andiamo alla realtà delle cose. L’argomento che oggi trattiamo richiama alla mia memoria un fatto politico importante di 37 anni fa. Era…
(Interruzione)
Lei non esisteva, perché non ha capito niente della Liberazione, di nulla, quindi non provochi. Esca, per gentilezza, perché io non ho provocato le stupidità che ha detto il suo collega.
PRESIDENTE. Coraggio. Cerchiamo di mantenere un tono…
PUPPINI D’AGARO Cornelia. Era una sera di maggio del 1946, quando per la prima volta ascoltai una conferenza di carattere politico al teatro Puccini di Udine. Parlava un cattolico autonomista di alto livello. Il teatro era gremito di gente, giovane e meno giovane, tutte persone che avevano auspicato si avesse quanto promesso all’indomani della Liberazione, ossia la formazione di una regione autonoma friulana. Si sperava che l’Assemblea Costituente non ignorasse che il Friuli aveva, per varie ragioni che non sto qui ad elencare né a riassumere, il diritto di ottenere la più ampia autonomia regionale.
In quella conferenza, l’oratore parlava di questi argomenti importanti e li elencava, li valorizzava. C’era un silenzio assoluto in quell’aula ed una fede profonda in tutti coloro che lo ascoltavano e speravano in una soluzione politica positiva.
Ma il Friuli a Roma non era conosciuto ed il risultato fu una beffa, per cui la lotta di Liberazione fu nulla.
Poche persone continuarono la lotta per anni e pochi cittadini in realtà portarono avanti questa battaglia. Con notevole ritardo, e con lo Statuto che tutti conosciamo, vent’anni dopo ebbe inizio la vita reale di questa Regione mal nata.
Storici, studiosi, italiani e stranieri (una tesi di laurea è stata pubblicata a Ginevra; c’è un libro, potete consultarlo) evidenziano nelle loro ricerche che il Friuli ha caratteristiche etniche, culturali ed economiche diverse dal territorio triestino, che quindi la convivenza è difficile se non impossibile. La classe politica eletta in Friuli, facente capo alle diverse forze politiche, parla costantemente di unità regionale senza mai esaminare la realtà friulana in cui opera. I mass media danno un’informazione di comodo o, meglio, sono al servizio dei partiti che governano, che comandano, che assopiscono gli animi e le intelligenze invece di sviluppare un confronto di discussione e di sviluppo.
Così, anche se la nazione, come la patria friulana, inizia la sua lotta per l’autonomia, si trova a dover superare ostacoli notevoli per far prendere coscienza piena dei suoi diritti e della sua identità al suo stesso popolo.
I partiti che governano, con ogni mezzo, decantano l’unità come bene supremo e questo porta alla deviazione dei valori di ogni cittadino e, particolarmente, dei cittadini friulani. Ma diversi cittadini (non inconsciamente, perché prendere una cartolina e spedirla non è inconscio, ma è un valore che viene meditato), 93 mila di questi cittadini firmano una richiesta specifica e mandano al Presidente del Consiglio regionale la richiesta di discutere questo problema, quindi molti di questi cittadini hanno firmato, ma molti non hanno firmato perché non a conoscenza. Questi cittadini reclamano un diritto, un diritto assopito, ma che riaffiora, quello dell’ autonomia del popolo friulano, richiamano l’esigenza di avere la Regione Friuli.
Quale Regione Friuli, chiede qualcuno? Il Movimento Friuli risponde: “il Friuli storico”, che comprende Gorizia, Udine e Pordenone. Ma queste città – dice qualcuno – credono nei problemi portati avanti dal Movimento Friuli? Noi diciamo: si.
Gorizia, posta fra due vasi di ferro, è incerta e cerca una sua identità, ha bisogno di riportare, riscoprire i suoi valori storici di friulanità, perché è lei che ha fondato la Filologica Friulana, è lì che c’era la culla della cultura friulana!
Pordenone, città industriale, cresciuta negli ultimi tempi, è sorta giustamente per spinte economiche in contrapposizione ad una classe politica incapace di capire i problemi che si sviluppavano in quella terra ed in quella zona. Non sono stati capaci di fare un’analisi immediata e dare una risposta positiva a questo territorio che sentiva la necessità di autogestirsi.
Il Paese ha notevoli problemi di carattere sociale, economico e culturale. Ha bisogno di migliorare la sua cultura e chiede alla Regione di migliorare questa cultura e con 120 mila firme insiste perché in quest’Aula si discuta l’esigenza di creare un’università friulana, ma la classe politica è sorda e qui dentro, tutti in massa, rispondono “no” a questo appello! C’è bisogno di un terremoto – carissimo collega – di una disgrazia in Friuli, che risveglia l’animo delle classi politiche, e quando queste forze sociali ed economiche del Friuli si portano a Roma per chiedere la ricostruzione, richiedono, sì, la ricostruzione fisica della casa, ma richiedono una ricostruzione sociale, culturale che il Friuli non aveva più e che aveva il diritto di avere perché l’aveva chiesto ripetutamente, ma voi no a questa università! Ma mi dica, collega che sta parlando continuamente, legga i documenti storici della Regione e veda quante volte è stato detto no in questo Consiglio regionale al sorgere dell’università friulana e veda che tipo di università…
VIGINI. Ma non è un’università che crea una cultura, collega!
ERMANO. Tu hai la memoria corta, cara Cornelia.
PRESIDENTE. Collega Ermano, cerchiamo di non disturbare e di lasciare che l’oratore esprima compiutamente e rapidamente il suo pensiero.
PUPPINI D’AGARO Cornelia. In realtà, l’università friulana sorge grazie al terremoto. Ebbene, vengono date delle facoltà, ma non devono essere in contrapposizione a quelle di Trieste, all’Università di Trieste. Devono essere create ex novo, perché guai se rispondono alle richieste delle popolazioni, devono rispondere alle richieste delle forze politiche che governano, per cui sorgono quelle facoltà che abbiamo, obbligando molti studenti friulani a prendere la valigia per andare verso Padova, in percentuale maggiore che non a Trieste.
Questa è la realtà! Esaminatela, guardate i treni, come viaggiano, chi viaggia e così saprete i risultati; fate le statistiche, ne avete i mezzi.
Ed allora vediamo…
ERMANO. Ma che cosa vorresti fare tu, in alternativa?
PUPPINI D’AGARO Cornelia. Ti rispondo dopo.
ERMANO. Raccontare storie?
PUPPINI D’AGARO Cornelia. Le vostre sono storie! Le avete raccontate per troppi anni al popolo friulano, che avete cercato di addormentare, senza riuscirvi però, altrimenti il Movimento Friuli non sarebbe in quest’Aula, collega!
ERMANO. Parla più della Carnia e meno di Udine, tu!
PUPPINI D’AGARO Cornelia. Il Friuli è un paese con notevoli problemi di carattere sociale, economico e culturale, dicevo. Ecco perché noi crediamo sia indispensabile creare una Regione Friuli autonoma e dare a Trieste una Regione autonoma, che solo lo Stato italiano e l’Europa sono in grado di sostenere economicamente, perché non possiamo noi, Friuli, come territorio, sostenere un economia precaria qual è quella di Trieste.
La città lamenta un calo demografico, un invecchiamento della popolazione,…
ERMANO. Parla della Carnia!
PUPPINI D’AGARO Cornelia…, una crisi del porto.
Le rispondo dopo, facendole il confronto, così sarà sereno.
La crisi del porto, la crisi occupazionale e commerciale, ed allora ho preparato una raccolta di dati.
Nella provincia di Trieste, al censimento del 1981, si rileva una diminuzione del 4,86% rispetto al censimento del 1971, ma questa percentuale, del -7,76 in città vuol dire che una parte della popolazione si è trasferita in periferia, ossia nella provincia, è uscita dal centro storico ed ha preso residenza nei paesi limitrofi, mentre una parte ancora dei triestini si è stabilita nella regione.
E, poi, vediamo gli altri dati provinciali. Solo per la provincia di Pordenone e Gorizia assistiamo ad un incremento della popolazione. Nella provincia di Udine, invece, il calo (evidentemente perché la provincia di Udine comprende molti territori montani) è del 4,04%, ma troviamo vere e proprie situazioni di spopolamento che dovrebbero preoccupare notevolmente le forze politiche, basti pensare alla montagna ed alle vallate del Natisone.
A questo punto voglio darvi dei dati. Siamo al censimento del 1981 nella provincia di Pordenone. Solo 16 comuni su 51 hanno avuto un saldo positivo. In quello di Udine, su 137 comuni, solo 21 presentano un saldo attivo. In quello di Gorizia, su 25, solo 8 presentano un saldo positivo.
Nella provincia di Trieste, su sei Comuni, ben cinque presentano un saldo positivo. In Carnia un solo Comune, Tolmezzo, presenta un saldo positivo, dovuto anche all’afflusso di immigrati extraregionali…
ERMANO. … Villa Santina…
PUPPINI D’AGARO Cornelia. … sempre in Carnia dal 1971 al 1981 c’è stata una perdita di 15.000 abitanti,…
ERMANO… .saldo positivo…
PUPPINI D’AGARO Cornelia…, cioè il 25%; nella Val Canale la perdita è stata di 8.000 abitanti, pari al 34%; nel gemonese 8.000 abitanti, pari al 26%; il tarcentino perde 11.000 abitanti, pari al 30%; le Valli del Natisone, esclusa Cividale, ne hanno perso 11.000, cioè il 51%. In trent’anni, insomma, solo queste zone del Friuli hanno perso 53.000 abitanti.
In definitiva il Friuli, se si esclude Udine e la sua cerchia, Pordenone e la zona della sedia di Manzano, presenta una gravissima perdita di abitanti. Se pensiamo che in queste zone la differenza tra i nati vivi e i morti è favorevole ai primi dell’1,5%, che il Friuli è tra le prime sei regioni come numero di immigrati, e cioè di gente che vive e ‘lavora in Friuli, ma ivi non è nata, si avrà la dimensione reale del calo demografico del popolo friulano. Ma di questo non vi è alcun cenno nelle relazioni. de Regione o se ne parla il meno possibile. A Trieste si evidenzia, anzi si manipolano i dati, mettendo in rilievo questi problemi.
Si parla poi di invecchiamento della popolazione, ma anche questo è un fenomeno comune a molte città capoluogo. Dire che a Trieste ci sono oltre 100.000 pensionati è dire giusto colleghi, ma poi sappiamo dalle statistiche che pensionati si è anche a 35 anni in Italia. Chi, come le organizzazioni sindacali, afferma che a Trieste ci sono 100.000 anziani è in malafede. Perché? Ve lo dimostro. In provincia di Trieste, nel 1983, c’erano 104.711 persone che usufruivano di una pensione (257.956 in Friuli) ma 62.484 pensioni di Trieste sono andate ai superstiti ed invalidi, quindi il reale numero dei pensionati a Trieste è di 42.227 persone.
(Brusio in Aula)
Questi dati non li ho inventati io, è l’ISTAT che li cita; dite all’ISTAT che cambi i suoi bollettini…
CARBONE. Tutto il mondo sa, ma non cominciare con questi discorsi, che non esistono, per l’amor di Dio!
PUPPINI D’AGARO Cornelia. Voi dite che solo Trieste è in crisi, io sto evidenziando che la crisi economica che colpisce la montagna friulana è ben peggiore della crisi triestina. E siccome il muro del pianto esiste a Trieste e noi non siamo abituati ad avere il muro del pianto, evidentemente diciamo che la situazione è ben grave. Se poi pensiamo, collega, che il terremoto…
ERMANO. andrai a dirlo ad Udine, ai tuoi…
PUPPINI D’AGARO Cornelia. Andrai a dirlo ai socialisti di Udine…
E allora, carissimi colleghi, il terremoto ha risvegliato molte situazioni, ha portato al Friuli 3.000 miliardi nella prima tornata, 3.000 miliardi nella seconda, e ricordo benissimo che in questo Consiglio si votò la mozione 40, dove si parlava di uno sviluppo globale della regione con il denaro del terremoto. Ed io feci opposizione serrata quel giorno, dicendo che non era giusto usufruire di una disgrazia, calatasi in Friuli, per la rinascita di Trieste, che se era necessario fare qualcosa per questa città si poteva provvedere, indipendentemente dal terremoto, con una legge speciale.
Ma si utilizzò quella legge, che stanziava 3.000 miliardi, quando i danni erano di 4.000 miliardi, colleghi. Si utilizzò quel denaro per le grandi infrastrutture (mi scuso per il tono ma quando si esasperano gli animi, c’è una reazione), quali l’autostrada, superstrade, svincoli stradali, raddoppio ferroviario e cose simili. Sono state caricate sui 3.000 miliardi, prima tranche data per la ricostruzione del Friuli, dove solo 1.500 sono serviti per la ricostruzione dei beni distrutti, che ammontavano a 4.000 miliardi.
Seconda tranche: altri 3.000 miliardi; per volontà politica avete forzatamente inserito Trieste in quella legge, quando era necessario fare un esame attento del denaro necessario per la ricostruzione e per lo sviluppo dei paesi distrutti dal sisma…
ERMANO. Ma smettila!
PUPPINI D’AGARO Cornelia…, vedi articolo 1 della 828. Ma no, era scomodo, bisognava conglobare tutto perché voi sperate che il popolo friulano rimanga sempre supino, ubbidiente ai vostri ordini di carattere politico, colleghi, voi avete strumentalizzato il terremoto, avete strumentalizzato le disgrazie, l’emigrazione, le servitù militari, le miserie del Friuli senza mai dare una risposta concreta a quel popolo che, uscito dalla Liberazione, credeva nelle forze politiche che governano; ma voi lo avete deluso talmente che è sorto il Movimento Friuli, che si rafforzerà nonostante le forze politiche che governano, perché voi non siete capaci di recepire la richiesta che il popolo friulano avanza attraverso una misera voce qual è la nostra; cioè quello di ottenere e rivendicare l’autonomia della Regione Friuli per dare a Trieste quel che a Trieste spetta, ma al Friuli quello che il popolo friulano si attende.
ERMANO. Questo bisogna dirlo in montagna, non nel Friuli udinese!
PUPPINI D’AGARO Cornelia. Senti, vai a dirlo ai tuoi socialisti! Non a noi…
(Brusio in Aula)
Noi abbiamo lottato per la montagna friulana più di te che, essendo uomo che usciva dalla guerra, dovevi lottare perché il popolo friulano non emigrasse come è emigrato!
PRESIDENTE. Consigliere Puppini, ha ultimato il suo intervento?
ERMANO. Non piangere, io non piango, ho fatto il mio dovere sempre io!
PUPPINI D’AGARO Cornelia. Non mi tocchi quanto al dovere, perché io l’ho fatto sempre…
ERMANO. Parla dei montanari e non del Friuli udinese!
PRESIDENTE. Basta!
PUPPINI D’AGARO Cornelia. Parlo del popolo friulano.
| PDF | Dut il dibatiment in Consei regjnâl dai 4 Avrîl 1984 su Regjon Friûl